Prosegue “Non solo volley”, la rubrica che vi racconta i giovani e i nuovi acquisti di Modena Volley. Continuiamo con Luciano De Cecco, fuoriclasse argentino che dopo aver vinto tutto con Perugia e Civitanova è prontissimo a dare tutto per Modena.
Luciano De Cecco è uno dei palleggiatori più forti del mondo. Ha un dono, le sue mani. Arriva a Modena dopo aver vinto tantissimo, pronto per un’avventura che lo stimola a 360 gradi. Ha iniziato la sua carriera molto giovane è arrivato in Italia a soli 17 anni e oggi, dopo aver incantato il PalaPanini da avversario, è pronto a farlo in maglia gialloblù.
Dove sei nato e dove sei cresciuto?
“Sono nato a Santa Fe, in Argentina, una città di circa 500mila abitanti, mio papà era un giocatore di pallacanestro e ha giocato diversi anni in Serie A in Argentina, mentre mia mamma lavorava in ufficio”.
Tu seguivi tuo padre nella sua attività sportiva?
“Io giocavo a basket come mio padre e l’ho seguito ovunque, scuola e “permessi della mamma” permettendo. Poi ho cambiato sport, scegliendo la pallavolo, all’età di 14-15 anni”.
A che età sei andato via di casa per giocare?
“Ho iniziato a giocare a pallavolo a 14 anni, sono andato via di casa un anno più tardi e a 17 anni sono arrivato in Italia. Dopo gli inizi a Santa Fe, mi sono dovuto spostare a Buenos Aires per giocare nelle giovanili del Bolivar, squadra famosa nei primi anni duemila: a seguito di quell’esperienza sono arrivato in Italia, a Montichiari, nel 2007”.
Come è stato uscire di casa?
“Gli inizi sono sempre difficili, ma quando sei giovane non pensi alle difficoltà bensì all’euforia di fare qualcosa di nuovo che ti piace e all’essere parte di qualcosa di più importante di quello di cui si faceva parte prima. Quando si è giovani non ci si rende conto di quello che ci si lascia alle spalle, ma si guarda solo avanti verso la propria strada”.
Sei arrivato in Italia giovanissimo, a 17 anni. Come ti sei trovato?
“Sono stato accolto molto bene. Sono arrivato in una società incredibile, Montichiari, alla cui guida c’era all’epoca Marcello Gabana, con Velasco allenatore e Blengini secondo. C’erano, inoltre, giocatori di grande calibro, come Tiberti, Gavotto, Popp, Forni, Howard, Manià e tanti altri. La società era molto organizzata e preparata: si curavano i minimi dettagli e mi sono trovato molto bene”.
Dopo Montichiari sei stato in diverse altre squadre. Hai vinto uno scudetto incredibile a Perugia, poi hai vinto anche con la Lube. Cosa ti hanno lasciato le città in cui hai giocato?
“Tutte le città ti lasciano qualcosa di importante. Io sono stato molto fortunato perché ho potuto giocare in diverse società e di tutte ho un ricordo importante. Naturalmente, il rapporto con la piazza dipende anche da come una persona “vive” quella città e da cosa fa fuori dal campo. Sono stato a Monza, a Piacenza, tanti anni a Perugia e tanti a Civitanova e ho sempre trovato società e persone che mi hanno lasciato qualcosa, e io a loro”.
Che rapporto hai avuto con la scuola?
“Mi sono diplomato dopo aver frequentato la scuola pubblica in Argentina, nonostante negli ultimi anni da studente abbia saltato molte lezioni a causa degli spostamenti dovuti alla attività da pallavolista. Mi sono diplomato tornando in Argentina quando già giocavo in Italia, ma le lezioni le ho finite prima di andare a giocare a Montichiari”.
Nella tua attività da pallavolista ti sei ispirato a qualcuno? Avevi qualche idolo da ragazzino?
“In realtà non proprio: la pallavolo in Argentina non era molto popolare quando ero piccolo e io venivo dal mondo del basket. Il mio primo impatto con la pallavolo di alto livello è avvenuto nel corso dei Mondiali del 2002, che si sono disputati proprio in Argentina e in cui ho fatto il raccattapalle nel campo di Santa Fe. In tv in Argentina venivano trasmesse poche partite di pallavolo”.
Oltre alla pallavolo, segui qualche altro sport?
“Seguo molto il basket: soprattutto l’Eurolega, un po’ meno l’NBA. In particolare, seguo i giocatori argentini. Guardo anche i grandi tornei di tennis. Mi piace molto il baseball: quando vado in America e ne ho l’opportunità vado a vedere qualche partita. Sono anche appassionato di videogiochi sportivi. Il calcio, invece, non mi piace”.
Quali sono gli avversari più forti che hai incontrato nel corso della tua carriera?
“Fare solo alcuni nomi è difficile: sicuramente dico NGapeth, poi mi vengono in mente Juantorena e Kazijski ai tempi di Trento oppure Grbic e Sokolov ai tempi di Cuneo. Cito anche Grebennikov. Mi sento fortunato ad avere condiviso il campo con giocatori di questo tipo”.
Sei stato tante volte al PalaPanini da avversario. Quest’anno ti vedremo, invece, in maglia gialloblù: cosa significa indossare la maglia di Modena?
“Finchè non lo vivrò, credo di non potermi rendere conto effettivamente di quello che potrà essere. Venire al PalaPanini da avversario è bello, ma allo stesso tempo difficile perché il palazzetto è sempre pieno e c’è ogni volta un tifo smisurato e una visione della pallavolo diversa rispetto a quella che c’è in altre società. Modena vive di pallavolo da tantissimi anni e di questa società hanno fatto parte pallavolisti che oggi fanno parte della Hall of Fame mondiale di questo sport, ma anche grandi allenatori e dirigenti. Per me è un onore essere parte di una società così importante: arrivare dove tutti hanno sempre voluto arrivare e pochi sono riusciti a farlo è sempre bello. Poi spetterà al campo dare il giudizio: tutti noi che siamo stati scelti dovremo far vedere perché la società ha puntato su di noi per guadagnare l’affetto e il rispetto dei tifosi”.
Quali sono un tuo pregio e un tuo difetto come compagno di squadra?
“Il difetto sicuramente è che a livello caratteriale sono molto chiuso e parlo veramente poco. Il pregio è che sono sempre disponibile con tutti. So che, per il mio ruolo in campo, all’interno di un gruppo sono parte importante per i miglioramenti della squadra e voglio essere al massimo delle mie potenzialità per poter aiutare i miei compagni”.