Andrea Giani: "Eravamo affamati di vittorie, ma era la qualità a farci fare la differenza. Vullo gestiva la pressione in modo incredibile, Cumi era energia allo stato puro, Bracci era uomo da punti decisivi"
Nella Parma che giocava e spesso vinceva con Modena ad inizio anni novanta c’era un giocatore che più di tutti stupiva per la capacità di fare la differenza in qualsiasi ruolo giocasse. Quel giocatore era fenomenale, aveva il numero 4 e sarebbe diventato recordman di presenze in azzurro. Andrea Giani. Un nome e un cognome che per chiunque abbia tifato dagli spalti del PalaPanini significano tanto, tantissimo. Il Giangio arrivò a Modena nel 1996 e con lui, quella Modena, divenne un dream team inarrivabile. “Quel sestetto – spiega Giani, oggi Coach che si appresta a disputare la quarta annata consecutiva sulla panchina di Modena Volley – aveva una qualità straordinaria, c’erano giocatori formidabili in tutti i ruoli ed in più c’era un contesto legato a squadra, tifosi e società che era straordinario. Era una Modena fortissima sotto tutti i punti di vista. Giocavamo una pallavolo straordinaria, eravamo una rosa completa con giocatori di livello assoluto, eravamo affamati di vittoria e con una qualità che faceva davvero la differenza. Fabio Vullo ricopriva il ruolo più importante di una squadra, quello del regista. Era un giocatore con qualità tecniche e fisiche con un passato già ricco di vittorie, sapeva benissimo come gestire i compagni. Con tanti giocatori di quel livello devi sempre mantenere un equilibrio, Fabio era un palleggiatore evoluto, giocava già un volley molto veloce ed aveva una capacità unica di gestione della pressione, e vi assicuro che in quegli anni e in quella Modena di pressione ce n’era tanta. Vullo faceva girare la squadra in una maniera incredibile, Fabio è una persona molto tranquilla fuori dal campo, ma quando giocava era davvero feroce, con gli avversari e anche coi compagni, non te le mandava certo a dire (ride Giangio, ndr). Juan Carlos Cumminetti era energia allo stato puro, uno dei grandi motori di quel gruppo, un sorriso che accendeva tutto l’ambiente. Cumi era fortissimo in battuta e in attacco e a muro, mamma mia muro a uno faceva veramente impressione, una bestia”.
Al centro con te c’era Bas van De Goor “E’ un giocatore di 2,11 metri. Era completo, forte in ricezione, bravo a muro, un attaccante straordinario. Fuori dal campo è un bravissimo ragazzo, buono come il pane e molto attivo. Giocava a golf, studiava, faceva un sacco di cose. Nel momento del riposo non stava in casa, ma organizzava molte attività, iperattivo all’ennesima potenza (ride Giani)”. In posto quattro c’era Marco Bracci che insieme a te ne ha vissute tante, a Parma prima e in nazionale poi: “Un grandissimo, forte fisicamente e tecnicamente, unico a livello caratteriale. Marco era molto sicuro di sé e nel nostro gioco questo aspetto conta davvero tantissimo. Era un giocatore da palloni decisivi e anche lui se doveva dirti qualcosa in faccia lo faceva. Diretto, esplicito. Fuori dal campo non era sicuramente come Bas, aveva bisogno dei suoi tempi, della sua routine, ma quando si entrava in palestra, ragazzi… faceva paura. Luca Cantagalli? Anche lui era un giocatore completo e come me ha fatto vari ruoli. Inutile sottolineare la sua classe, immensa, era anche un grande “borbottone”, aveva sempre qualcosa da dire, diceva sempre la sua, in campo era maniacale, non gli sfuggiva nulla. In Regular Season abbiamo perso una sola partita in casa, con la Gabeca, rientrati dal Giappone e poco dopo l’incidente di Coach Daniele Bagnoli. Ricordo benissimo quella sconfitta perché fu il giorno in cui nacque mio figlio. Io sono arrivato in campo direttamente dall’ospedale, stavano già facendo riscaldamento, avevo chiesto a Franco Bertoli di poter saltare il match ma mi fece giocare lo stesso, diciamo che non ero al meglio, via…”
Dove poni quel sestetto rispetto alle altre squadre in cui hai giocato? “Le squadre che vincono hanno tutte lo stesso posto per caratteristiche, forma e difficoltà. Le squadre vincenti sono tutte collocate nella stessa casella, almeno per me, senza distinzione. Non ci sono squadre a cui sono più o meno legato, una squadra che vince è straordinaria perché ha fatto qualcosa di unico e noi in quel 1996/97 facemmo qualcosa di grande, grandissimo”