Juan Carlos Cuminetti: "Vullo era il regista perfetto per una squadra così forte. Giani?Mostruoso, demoralizzava gli avversari. Ho fatto una promessa, tornerò al PalaPanini"
“Picchia Cumi, Picchia Cumi” e “Vola, dai Cuminetti vola, sopra la rete vola, la curva s’innamora, ancora”. Negli anni novanta c’erano due cori che accompagnavano un meraviglioso opposto argentino che incantava il PalaPanini. Juan Carlos Cuminetti, nato a Rosario il 27 maggio 1967 era il posto due del “Sestetto dei sogni”, uno dei giocatori più amati dal pubblico di Modena. Dopo Vullo, che di quel sestetto era il regista, abbiamo intervistato quello che con “Le mani” dava vita a una diagonale di forza, testa e qualità assolute. Cumi. Semplicemente Cumi.
“Quello del 1996/97 – spiega Cuminetti – era uno squadrone, uno squadrone che si è formato anno dopo anno, io sono arrivato nel ’93/’94 e c’era già una buona base poi sono arrivati Vullo e Bracci e ha iniziato a prendere ancora più forma quella squadra, una spinta ulteriore e molto forte l’ha data l’arrivo di Giani in quella stagione. Giangio è unico per la sua versatilità nei ruoli, qualsiasi problema o assenza veniva appianato, Andrea non solo giocava ovunque, spesso giocava ancora meglio di chi sostituiva, un mostro. Quanto eravamo forti? Moltissimo e lo abbiamo dimostrato, ci sono state partite belle e tirate, ma nei momenti decisivi c’era un qualcosa che ci rendeva più forti del nostro avversario, avevamo la vittoria nel dna”
Marco Bracci ci ha detto che “Cumi era un argentino già italiano, che si è ambientato in Italia con una facilità clamorosa. “È vero mi sono ambientato subito e la componente umana di quella squadra mi ha aiutato a dare un contributo importante dentro e fuori dal campo”. Partiamo da Fabio Vullo. “Beh, Fabio è Fabio. Lui, nei momenti decisivi, era capace di decidere a chi dare la palla e di non sbagliare mai. Era il motore mentale e tecnico di quella squadra. Gli attaccanti erano bravi, ma era lui che li faceva giocare al top. Fuori dal campo è un ragazzo eccezionale, molto serio, una brava persona nel senso più ampio del termine. Era il mio compagno di stanza in quegli anni, un punto di riferimento fondamentale, a lui facevo un sacco di domande trovando sempre risposte importanti.
Andrea Giani? “Quando è arrivato da Parma poteva giocare in qualsiasi ruolo, ma per me il suo ruolo era il centrale, lí era veramente il top al mondo. Gli ho visto murare palloni impossibili, davanti a Giangio l’avversario si demoralizzava, era talmente dominante che anche a livello mentale faceva la differenza”. In quella squadra al centro, di fianco a Giani c’era Bas van de Goor: “Lo ringrazio di cuore. Se ho attaccato centinaia di palloni muro a uno lo devo a lui (ride Cumi, ndr).
Chi era il più casinista della squadra? Quello andava a momenti, lo eravamo un po’ tutti in realtà, dopo gli allenamenti, andavamo a mangiare insieme, scherzavamo, ci trovavamo molto bene, eravamo squadra sempre, h24″. In posto 4 c’erano il Bazooka, Luca Cantagalli e Marco Bracci: “Questo è un capitolo a parte. Luca è stato una delle colonne portanti su cui costruire quella squadra, per intenderci la Coppa Italia del ‘93/’94, a Perugia, l’ha vinta lui. Ti faceva capire quali erano i momenti importanti della partita. Insieme a Bracci è stato uno dei fattori per cui Modena, in quegli anni, è stata ai vertici”. Marco invece com’era? “Luca era più talentuoso, mentre Marco andava a cercare il talento lavorando sui piccoli particolari, ogni giorno. Non mollava un centimetro. A volte facevo sfide personali con Luca perché dovevo murarlo in allenamento, anche se era praticamente impossibile, idem con Marco. Anche in allenamento non si risparmiavano, non c’era possibilità di vederli deconcentrati. Se ti alleni bene, giochi bene e questo in campo si vedeva, eccome”.
E il pubblico di Modena? “Spettacolare, unico, inarrivabile. Il pubblico di Modena riesce a incidere in modo profondo sul match e sui giocatori, se stai giocando male il PalaPanini ha la forza di farti cambiare marcia. E’ impressionante. E’ stato veramente bello giocare a Modena con il palazzetto pieno, un qualcosa che mi porto dentro, sempre. Sono ricordi che rimangono indelebili. Non sono più entrato al PalaPanini dopo che ho smesso di giocare, preferisco ricordami quel palazzo con quelle sensazioni addosso”. Modena però vuole riabbracciarti “Ho promesso ad una persona che tornerò, e prima o poi si, tornerò”.